Anche oggi il Duomo di Parma domina tutta la città. Una forza è rinchiusa nella pietra e ne fa un immenso corpo vivo, radicato sulla terra, percorso dalle tensioni che la vita dei tempi vi ha accumulato; una nuova incarnazione dello spirito, mentre i traffici, gli interessi, le storie degli uomini allargavano e disperdevano la città all’intorno, sempre più lontano.
A vederlo da qualche altana che ancora esiste nella parte di settentrione, la sua massa rosa e grigia appare alzata sull’onda abbrunita dei tetti, suprema su ogni altra cosa; e anche dall’alto dei grattacieli ai margini della cittla visione si arresta, tra l’indistinto di ogni edificio, alla sua grande e franca facciata, che ripete l’antica protezione della capanna e raccoglie, rivolta ad occidente, tutta la luce del pomeriggio.
Vi fu un tempo che la torre era abitata dai falchi, uccelli puri e feroci, pronti alla preda come quelli che affondavano gli atigli su dorsi inermi nei capitellibdella chiesa; si udivano a sera i loro gridi nella piazza. Era un tempo, anche, puro e feroce, di tentazioni diaboliche e penitenze maceranti, di lotte crudeli e viaggi lunghissimi; il diavolo, prima di essere esorcizzato, poteva lasciare la sua impronta sulle pietre.
Allora il Duomo era così alto sulla città che sembrava veramente una casa celeste e dominava tutta la pianura, dalle prime colline del Po; i pellegrini e i soldati lo vedevano di lontano.
Tratto da “Il Duomo di Parma” a cura di Roberto Tassi (1966)