“Essere segreto come la grappa della Tita”, ci riporta ai tempi del primo Novecento, quando a destra di chi guarda la Chiesa di San Pietro si potevano contemplare i tre bacili lucenti che facevano da insegna alla bottega del barbiere Miljén Alessandrini.
Oltre il negozio di Miljén si trovava il Caffè Dàla Tìta, che doveva la sua fama all’incredibile varietà di grappe di ogni tipo e provenienza, in cui la Tita si era specializzata.
Di giorno il negozio aveva un aspetto non proprio invitante, vuoto com’era o con pochissimi clienti; cominciava a prender vita a tarda sera o in piena notte, quando diventava il ritrovo dei bevitori più incalliti.
Qui si organizzavano addirittura gare accanite di Grapén Pjè (“grappino acceso”), il che significava che i contendenti dovevano ingollare i bicchierini di grappa in un solo sorso, uno dopo l’altro, finché i trangugiatori, più o meno coscienti, abbandonavano la gara ed uno solo di essi rimaneva quasi in grado di connettere.
Tratto da “Oh, l’ é chi ‘l formàj bón!” di Gugliemo Capacchi (2003)