Le nostre nonne, alla Domenica, quasi si mettessero d’accordo, per primo servivano in tavola la minestra in brodo “pàsta ràza” (pasta grattugiata) e come secondo il bollito misto: manzo, gallina e l’immancabile “pjén” con le varie salsine del rito frutto delle antiche ricette che ogni famiglia parmigiana si porta appresso nei secoli come il proprio cognome.


Se il “pjén” della Domenica doveva risultare buono, quello per il pranzo di Natale doveva essere superlativo anche perché, quello morbido “digeribile” che fluttuava nella pentola, era uno dei “complici” del brodo dentro il quale dovevano nuotare gli anolini.

A Parma il “pjén” è sempre stato un rito per le “rezdóre”. Quello di Natale, doveva addirittura rispettare una vera e propria liturgia: innanzitutto doveva essere di colore giallo come la polenta a riprova delle uova freschissime di pollaio che lo componevano mentre il formaggio doveva essere stravecchio, fratello gemello di quello con il quale si faceva il ripieno degli anolini. Insomma, un capolavoro di cucina.

Tratto da “Il Libro del Natale Parmigiano” di Lorenzo Sartorio (2009)