Un antico proverbio così recita: “Par Nadäl un didäl, par l’ an’ nóv al pè d’ un manzól, par la Befàna al sält äd ‘na càgna, par Sant Antònni Abè ‘n óra sonè”. Proprio un’ora non è ma, che il giorno si allunghi, è vero.

Un tempo il prete benediceva le stalle e si recitavano suppliche dinanzi all’impolverata immagine del Santo vegliata da un baluginante lumino. Alle bestie veniva dato il fieno migliore, non dovevano essere uccisi animali, il vaccaro si vestiva a festa, come pure i carrettieri che agghindavano i loro cavalli con eleganti finimenti.

Un’altra tradizione voleva che le porte delle stalle rimanessero aperte affinché le bestie udissero le preghiere del vespro per poi chiuderle in quanto era convinzione che di notte le bestie parlassrro tra loro giudicando l’operato del vaccaro. La farina benedetta in chiesa si faceva sciogliere nell’acqua calda e la si dava da bere alla bestie “bevrón” quando si ammalavano. Il “pane di S.Antonio” veniva conservato tutto l’anno unitamente a quello della Vigilia di Natale, poiché erano ritenuti miracolosi. In città, nell’omonima chiesa in strada Maestra San Michele (via Repubblica), in occasione della ricorrenza di S.Antonio Abate, due sacerdoti, dietro i cancelli, impartivano la benedizione alle bestie che sfilavano dinnanzi alla chiesa.

Tratto da “Strolghè” di Lorenzo Sartorio (1990)